E’ indubbio che lo Yoga sia un percorso che, nel contemporaneo, non sia definibile come un’unica strada o metodologia, ma che questa disciplina millenaria si sia trasformata nel corso del tempo, soprattutto a seguito della condivisione su scala globale, raggiungendo le case di tutti, e che per questo si sia mescolata ad altre lingue e quindi ad altri pensieri. Questo ha fatto sì che si sia attuato un processo di adattamento, sia, come detto, dal punto di vista del pensiero (e mi riferisco principalmente ad una matrice di pensiero occidentale versus quella orientale, non per forza in contrasto, ma profondamente diverse), ma anche dal punto di vista fisico delle āsana, data la grande differenza fra l’organicità di un corpo umano indiano e uno europeo, come in altre pratiche che si sono andate a “semplificare”, o comunque a non essere seguite in modo così ortodosso.
Resta il fatto che, in questa immagine caleidoscopica che racchiude le molte strade dello Yoga, da qualche base bisogna comunque mettere le radici, e questa necessità, fra i molti scritti antichi e filosofici che trattano dell’argomento, trova risposta negli Yogasūtra di Patañjali. Chiunque approcci a questa tradizione variopinta e umana, non appena approfondisce leggermente l’argomento, sentirà il bisogno di acquistare una copia di questo testo. Ovviamente, ritrovandoci davanti ad un classico che viene tradotto da una lingua molto antica quale il sanscrito, acquistarne una copia con una buona traduzione e soprattutto un buon commento è il miglior consiglio che posso darti: io mi sono cullata nella lettura di due edizioni diverse, una contenuta ne Il cuore dello Yoga di Desikachar, e l’altra focalizzata solo sugli Yogasūtra con testo a cura di Federico Squarcini, edito da Einaudi (li trovi entrambi nella sezione shop del sito).
Quest’opera è collocata tra il II e il IV secolo a.C., e viene attribuita al filosofo Patañjali, di cui si sa pochissimo, se non che, probabilmente, questo suo scritto è il frutto della sua scrupolosa analisi sui materiali filosofici tramandati fino al suo tempo. Vista la difficoltà di datazione dell’opera, si ipotizza addirittura che non vi sia un “unico Patañjali”, ma che gli Yogasūtra siano di fatto il frutto del lavoro di più filosofi e intellettuali che hanno raccolto in quell’arco di tempo i saperi che compongono il testo.
Con i loro 196 aforismi (“frasi sintetiche”), gli Yogasūtra sono “il pilastro teorico e spirituale di una lunga tradizione” (Squarcini, 2015): trattano “di ascesi, meditazione e del percorso da intraprendere per giungere a un’autentica conoscenza e padronanza dell’esperienza di sé” (Squarcini, 2015). Questo testo risponde al bisogno urgente e intrecciare fra loro sapientemente “teoria e prassi” (Squarcini, 2015), metodo e modello, e Patañjali, con grande discernimento, scandaglia “l’iperattività della mente, le ragioni dei turbamenti che vengono dalle rappresentazioni del sé, l’avvicendarsi incessante dei flussi di pensieri” (Squarcini, 2015), cosicché “l’individuo proceda verso un rischiaramento dell’effettiva natura delle cose”. Per riassumere, si potrebbe quasi definirli una bussola in mano allo yogi (o yogini).
E’ proprio in apertura che il secondo aforisma recita “Yōgaścittavṛttinirōdhaḥa (योगश्चित्तवृत्तिनिरोधः)” che Squarcini traduce come “Il metodo che volge all’arresto definitivo del vorticoso plesso delle cognizioni”, oppure “Lo yoga è la cessazione dei movimenti nella coscienza”, secondo Iyengar. Immediatamente il testo presenta il complesso tema di cui andrà a parlare, cominciando da questo punto varie analisi, fino al proporre un percorso, quasi iniziatico, per camminare su questa strada.
Gli aforismi sono suddivisi in quattro pada, sezioni, che vado ad elencare e descrivere riassuntivamente:
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Samādhi Pāda, composto da 51 sūtra, nel quale si introduce e si illustra lo Yoga come mezzo per raggiungere Samādhi, lo stato di beatitudine, che permette alla persona consapevole di liberarsi da saṃsāra, il ciclo delle nascite;
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Sādhana Pāda, composto da 55 sūtra, in cui viene descritto il il Kriyā Yoga e l’Aṣṭāṅga Yoga;
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Vibhūti Pāda, composto da 56 sūtra, in cui si descrivono le ultime fasi del percorso yogico, con i poteri o perfezioni che si acquisiscono con la corretta pratica;
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Kaivalya Pāda, composto da 34 sūtra, nel quale si allude alla separazione fra materia e spirito, lo stadio finale della pratica yogica.
Focalizziamoci sulla seconda sezione, in particolare sulla descrizione dell’Aṣṭāṅga Yoga, letteralmente lo Yoga degli otto stadi. Questi compongono il Raja Yoga, il metodo regale, e sono i passi che il praticante segue per compiere il suo percorso. Il ventinovesimo sūtra li annuncia, recitando:
yama niyama-āsana prāṇāyāma pratyāhāra dhāraṇā dhyāna samādhayo-‘ṣṭāvaṅgāni
यमनियमासनप्राणायामप्रत्याहारधारणाध्यानसमाधयोऽष्टावङ्गानि
Il percorso del praticante si scandisce seguendo questi otto passi (yama, niyama, āsana, prāṇāyāma, pratyāhāra, dhāraṇā, dhyāna, samādhi), che vanno a sommarsi l’uno all’altro per raggiungere lo stato di samādhi. I primi due, Yama e Niyama riguardano l’etica dello yogin, e sono rispettivamente cinque regole comportamentali che rendono felici le relazioni (yama) e cinque osservanze verso di sé, delle guide personali (niyama). Se da un lato li yama sono classificabili come le cose da non fare, i niyama sono le cose da fare.
Gli Yama (astinenze) sono:
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ahiṃsā, la non-violenza;
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satya, la sincerità;
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asteya, l’onestà;
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brahmacharya, la castità;
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aparigraha, la non-avidità.
I Niyama (osservanza) sono:
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saucha, la purificazione
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santōṣa, la soddisfazione;
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tapas, l’autodisciplina;
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svādhyāya, lo studio e conoscenza di sé;
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īśvarapraṇidhāna, l’abbandono alla volontà divina.
Nel video che ho girato per te parlo di questi dieci punti, cercando di esplicarli al meglio anche in base al relazionarli a quello che è il nostro stile di vita occidentale!
Ti aspetto!