«Come la semente anche la mia anima ha bisogno del
dissodamento nascosto di questa stagione»
Giuseppe Ungaretti, Inverno
E’ mattina presto. La luce del sole filtra attraverso le tende: è tagliente e crea un forte contrasto fra le cose che illumina, rendendo saturi i colori. L’aria è tagliente, la inspiriamo e ci risveglia, ci rinvigorisce, espiriamo e il nostro respiro caldo crea una sorta di vapore, ci ritorna subito alla mente quando da bambini giocavamo con questo vapore. Facciamo solo i gesti necessari, per non disperdere calore, e qualora sentiamo freddo, ci fermiamo e proviamo a raccoglierci in una posizione che quasi culli il nostro corpo, in modo da tenerlo al caldo.
Siamo in inverno.
La natura ci suggerisce, con tutti i suoi cambiamenti, che questo è il momento in cui il superfluo viene meno, in cui ci si concentra sull’essenziale. Gli alberi hanno perso le loro foglie e i loro rami nudi si stagliano all’orizzonte, graffiati dai venti del tramonto. Il sole scende presto, le giornate sono più corte. Quando si rientra a casa si cercano tepore e relax, si cerca ristoro.
Come nella poesia di Ungaretti, questo è il tempo in cui l’anima, come il seme nella terra, raccoglie le sue forze per sbocciare, per rifiorire in primavera.
In India, In pieno autunno, si festeggia Diwali, la festa delle luci, durante la quale si celebra la vittoria della luce sulla tenebra, e si usa accendere lampade tradizionali chiamate diya o candele. L’inverno è sicuramente un momento dell’anno caratterizzato dalle tenebre, ma l’augurio di Diwali ci prepara a mantenere quella piccola luce accesa per affrontare l’oscurità: essa non è altro che il seme nella nostra anima, che si prepara ad essere rigoglioso nuovamente.
Questo è un ottimo periodo per due tipologie di pratiche yogiche: una parte più legata ad uno sviluppo corporeo, che ci porti a scaldare bene, a risvegliare e a nutrire il nostro sole interiore affinché possa illuminare nell’oscurità; una parte che si sposa profondamente alla qualità della natura più riflessiva, creandone un’eco nel corpo attraverso la calma degli āsana paschimatana, le flessioni in avanti, e nella mente/spirito attraverso quelle pratiche che favoriscono la ritenzione dei sensi, la concentrazione e meditazione. Per riassumere, l’ascolto.
Indubbiamente questo ascolto richiede il coraggio di zittire tutto ciò che non serve, di abbandonarsi completamente (e con fiducia) alle possibilità. Questo inverno che imperversa nel mondo deve in qualche modo riflettersi in noi, senza timore che ci lasci senza nulla: la terra è stata solcata in autunno, i semi sono stati piantati e saranno custoditi in un ventre che li farà crescere al sicuro, questi si rinforzeranno in modo tale da sbucare in cerca della luce e portare alla vita qualcosa di nuovo. E’ il ciclo di nascita e morte a cui apparteniamo, a cui appartengono i nostri corpi, le nostre emozioni, i nostri desideri, le nostre speranze, la nostra anima. Siamo natura, e fino a quando ci faremo guidare dai suoi ritmi, sentiremo organicamente di farne parte.
Con la pratica di oggi voglio guidarti al Saluto all’Inverno della maestra Gabriella Cella. Come lei stessa consiglia, questo saluto può essere praticato sia la mattina appena svegli che poco prima di coricarsi la sera. Nella sequenza sono presenti delle torsioni del basso tratto spinale e delle aperture del cuore intervallate da controposizioni rilassanti. Come in ogni vinyasa è sempre il respiro che ci guida con il suo ritmo: ogni sua fase corrisponde ad un movimento. Per la pratica di questo namaskar, saluto, ti consiglio di praticare su una coperta che isoli il freddo del pavimento e con il corpo ben coperto.
Ci vediamo sul tappetino!