Ludovica Avetrani
Mi chiamo Ludovica e ho 33 anni e vivo a Roma.
Rapita dalle splendide forme delle ballerine sui carillon, a sei anni chiesi a mia madre di studiare danza classica. Lei racconta che alla domanda: «Cosa vuoi fare?» mimai lo stereotipo della ballerina, portando le braccia couronne e abbozzando un giretto su me stessa. Dal momento in cui misi piede nella scuola di danza non ne uscii più: è tutt’ora il luogo in cui insegno e che gestisco con una mia associazione.
Durante il percorso ho incontrato tanti stili di danza, alcuni che ho solo sfiorato ma di cui ho cercato di trattenere alcune peculiarità, altri che ho mantenuto, mescolandoli al mio lavoro di danzatrice, come la danza contemporanea. Se da un lato infatti ho intrapreso il percorso dell’insegnamento (mi occupo principalmente delle classi dai quattro agli otto anni, la base della danza classica, denominata propedeutica), dall’altro mi sono concentrata su quello del racconto: la danza, con gli strumenti che offre, permette di raccontare ad un pubblico non solo stregandolo con delle belle forme, ma anche ipnotizzandolo con sequenze di movimenti di cui rimane ben poco sulla retina. Infatti la danza è effimera, svanisce in un istante, lasciando sulla pelle dello spettatore sensazioni di controtransfert corporeo: chi guarda sente quello che il danzatore prova e lo vive di conseguenza, la magia dei neuroni specchio. Se ci si pensa è paradossale quanto poco un occhio di uno spettatore medio recepisca di un movimento danzato: i danzatori passano ore in sala a perfezionare i loro equilibri, le forme che prendono, i passi più difficili, ma poco resta a chi guarda di quella fatica. Ciò che risulta è sempre qualcosa di fluido e bellissimo, che scorre all’occhio come l’acqua di un fiume, che, in apparenza, sembra facilissimo. Questo bisogno di racconto è sfociato anche nell’ambito del teatro: ho preso la laurea magistrale in teatro e parallelamente sono circa dieci anni che rivesto anche il ruolo di performer e attrice, e sono quasi sei anni che lavoro a stretto contatto con una compagnia di coetanei (tra cui Martina!), quella che definisco la mia famiglia artistica, i CaniSciolti. Con loro la possibilità di racconto si è resa tridimensionale, e il mio corpo si è arricchito di voce, interpretazione, emozione. E’ un percorso di crescita che non smette mai di essere, perché siamo umani e raccontiamo di cose umane che sono in continuo cambiamento.
Tornando all’ambito della danza, con serenità posso affermare che non sono una grande danzatrice perché non possiedo grandi doti fisiche, ma dopo tanti una cosa l’ho compresa: la danza ha un enorme valore trasformativo. Questo è uno dei motivi per cui mi sono avvicinata all’insegnamento prima, e all’idea di danzamovimentoterapia poi. Ho frequentato un master universitario in artiterapie, conoscendone gli effetti in primis su di me. La danza nella terapia d’aiuto, che sia con persone normodotate apparentemente senza problemi oppure con disagi psichici o con disabilità, è una possibilità incredibile che rimette la persona in relazione con sé e il suo corpo, con lo spazio, con il suo tempo di movimento, con il suo racconto, ed infine con l’altro. Il corpo non mente mai ed è un ottimo veicolo con il mondo interiore (al pari delle arti visive). La danza diventa quindi un mezzo di espressione, non votata ad un ambito performativo, ma semplicemente autoconoscitivo. La qualità effimera della danza porta anche a riflettere sul concetto di qui e ora: quando sei in un setting di arteterapia ti cali completamente nel presente, mantieni un certo tipo di attenzione perché potresti farti male, nel concentrarti sulle richieste del conduttore allontani automaticamente alcuni pensieri che portano fuori. Questa ricerca interiore attraverso la danza mi ha portato sulla strada di altre discipline che potessero guidare la persona (o le persone) a concentrarsi sul loro qui e ora, ad ascoltare il corpo, a valorizzare il proprio essere.
Ed è questo che mi ha portato allo Yoga. Quando ho conosciuto lo Yoga ho percepito due cose: come questo accogliesse tutti, senza alcuna discriminazione dovuta ad un aspetto formale (questo non toglie comunque l’importanza di eseguire correttamente degli āsana secondo le indicazioni di chi guida, per evitare infortuni) e come la sua via, estremamente conoscitiva, portasse ad una comunicazione rivolta verso l’interno piuttosto che l’esterno.
“Galeotta” fu Martina, l’altra insegnante di EMC…se non fosse stato per lei (con cui condivido un legame di amicizia profondo, e poi lavorativo) forse non mi sarei addentrata in questo percorso e non ne avrei percepito le mille sfumature. Ho praticato al suo fianco e poi ho deciso di prendere l’abilitazione all’insegnamento. Ci siamo chieste quasi contemporaneamente di iscriverci ad una scuola che ci preparasse per insegnare, e ne abbiamo trovata una validissima a Frascati, “Santosha – Yoga e Meditazione”. Lì abbiamo incontrato due splendidi e gioiosi maestri, Silvia Nardi e Stefano Celli, che incarnano le due forze che compongono il mondo e si compenetrano per la loro diversità intrinseca, Shakti, l’energia femminile, e Shiva, quella maschile. Sono grata a loro per avermi introdotta ad un mondo in cui c’è tanto da imparare (si lega perfettamente alla mia condizione di eterna studentessa). Il mio percorso è appena iniziato e probabilmente ogni nuovo giorno sarà un nuovo inizio. Ogni giorno siamo diversi.
Lo Yoga è una strada verso di te che ti aspetta, che mette luce sulle tue ombre, gentile ma rigorosa, incapace di mentire. Non forza le tue possibilità ma ti mette in gioco, e se ci si abbandona con fiducia ti rende consapevole che riuscirai a crescere sempre di più, e ti sorprenderai delle magie che puoi fare. Scoprirai cosa di te che forse non sapevi, tra cui la clemenza e il non-giudizio. C’è miglioramento continuo e ci si dedica consapevolmente del tempo, si costruisce il proprio spazio partendo dalle fondamenta. Lo Yoga è una risposta all’inquietudine di oggi. La sua disciplina millenaria può correre in aiuto e le sue tecniche sono indirizzate a tante tipologie di persone diverse.
Credo fortemente nel potere trasformativo dello Yoga, secondo cui non si deve dimostrare nulla verso l’esterno, ma parlarsi dentro, vedersi dentro.
Ti aspetto sul tappetino!